Quattrocentotrenta anni fa, il 27 giugno 1591 il rettore Giovanni Battista Sommaruga scriveva al conte Renato Borromeo, che con il fratello cardinale Federico condivideva l’onere e l’onore del patronato del Collegio fondato dal loro illustre cugino Carlo, per comunicargli una bella notizia.
I carteggi tra rettori e patroni affrontano vari aspetti pratici della vita del Collegio, ma principalmente riguardano gli alunni: la maggior parte delle missive dirette al card. Federico, per esempio, gli presenta le richieste di autorizzazione dei collegiali che vogliono laurearsi. I criteri che guidavano il patrono nel concedere tale autorizzazione erano normalmente due: la buona preparazione accademica e la condotta in Collegio.
Il rettore teneva sotto controllo non solo il comportamento, ma anche il livello di preparazione degli alunni, affiancati nello studio dai “ripetitori”: dottori dell’ateneo pavese, che (come oggi) svolgevano una preziosa funzione di tutorato interno. Il patrono si affidava perciò all’opinione del rettore e dei professori per verificare se un alunno fosse effettivamente pronto per affrontare la prova di addottoramento, che era complessa e insidiosa. Il candidato avrebbe infatti dovuto dimostrare piena conoscenza della disciplina e capacità di discutere e difendere in pubblico delle tesi; ciò avrebbe significato mettere in gioco non solo il proprio intero percorso di studi (che poteva durare fino a un massimo di sette anni), ma anche il buon nome della propria famiglia e del Collegio stesso, che lo aveva ospitato e sostenuto.
Dopo la seduta di laurea, il rettore provvedeva a informare il patrono sull’esito della prova e sullo svolgimento, auspicabilmente senza intoppi o eccessi, della cerimonia e dei festeggiamenti. La lettera del Sommaruga è però speciale, perché è la prima di questo genere; vi si dà infatti notizia del primo laureato borromaico, la cui splendida riuscita può non solo inorgoglire l’istituzione e la famiglia del giovane (aronese e strettamente legata alla casata dei Borromeo), ma anche essere di modello per l’avvenire, con l’auspicio che gli altri alunni si mantengano all’altezza di questo “primo frutto“:
Il signor Michel’Angelo Caccia si è dottorato martedì mattina prossima passata. So che già da suo padre, et prima ne sarà stato ragguagliato. A me perciò non resta altro, se non per debito mio accertarla che nel diffendere le conclusioni tutti i tre dì, et nel Dottorato, si è portato eccellentemente. Primo frutto di questo Collegio Borromeo, et tanto più grato a V.S. Ill.ma deve essere quanto per esser suo vasallo et de più fedeli, sarà più atto a servirla in tutte le occorrenze, et sempre sarà dedicato a casa Borromea. Si può desiderare, signore, che questi che restano diano di sé tanto saggio, quanto a perpetua lode ha datto il signor Michel’Angelo.
Si tratta dunque della laurea di Michelangelo Caccia, studente di Giurisprudenza, entrato in Collegio nel 1585, quando ancora gli studenti dovevano risiedervi “a dozzina”, come attestato dalla puntuale registrazione delle spese pagate.
Michelangelo inanella primati, perché è anche il primo a comparire nel primo “Registro degli alunni”.
Dalla pagina che lo riguarda, vergata con cura in latino, apprendiamo varie cose: figlio di Annibale, è nato ad Arona il 1 febbraio 1567, è dotato di preparazione umanistica (“humaniorum litterarum usum“) e ha studiato diritto cesareo per un biennio, dimorando in Collegio come “contubernalis” prima della nomina ufficiale ad alunno del 9 maggio 1588. (La successiva pagina del registro riporta la trascrizione del testo-matrice delle patenti di nomina, che venivano stampate, munite dell’emblema dell’humilitas, per ciascun collegiale.)
Apprendiamo poi che Michelangelo ha egregiamente difeso in pubblico le “conclusiones sive theoremata” nella prova finale, distribuita in un “triduo” iniziato il 10, proseguito il 14 e conclusosi il 25 giugno 1591 con l’addottoramento “magna com laude“, accompagnato da un seguito di folla festosa e dal clangore delle trombe (“domum deductus est, clangentibus tubis, illustri, ac frequenti comitatu stipatus“). Ha lasciato infine il Collegio il 1 luglio.
La festa continuava anche a tavola: lo desumiamo da un altro registro, quello delle Cibarie, dove in corrispondenza di martedì 25 e mercoledì 26 giugno 1591 sono indicati, in aggiunta alle normali 40 “bocche“, rispettivamente 14 e 4 commensali “forestieri“, ospiti del “signor Michel Angelo Caccia dotore“. (Successivamente i patroni cercheranno di porre un limite agli invitati a simili pranzi di laurea, per ridurre le spese extra a carico del Collegio.)
Nel registro non sono specificate le pietanze servite, ma le spese per alimenti e ingredienti: visciole, amarene, limoni, cipolle, aglio, verze, pepe, cinnamomo, uvetta ‘di Venezia’, zucchero e zucchero rosato, burro, pollastri, insalata, robiole (specificatamente per gli ammalati) e persino “una torta“.
Questo primo laureato, solo di tre anni più giovane di Federico Borromeo, che pure fu suo patrono e che ben lo conosceva, avrà poi una carriera piuttosto brillante come avvocato, magistrato e membro del Senato di Milano, fino alla peste del 1630, che ne stroncherà la vita.
Per notizie su Michelangelo Caccia cfr.: F. Rivola, Vita di Federico Borromeo, Milano, 1656; L.A. Cotta, Museo Novarese, Milano, 1701; Museo Novarese di Lazzaro Agostino Cotta accresciuto di nuove biografie di illustri novaresi e di altre notizie, Novara, 1872; G.G. Mellerio, Storie di alunni divenuti famosi, in Un palazzo per la Sapienza, l’Almo Collegio Borromeo di Pavia nella storia e nell’arte, Pavia, 2014.