Sulle pagine dei Diari del Collegio la grafia è veloce, a volte un po’ confusa, di data in data le frasi si susseguono, vergate rapidamente forse il giorno stesso alla sera o quello dopo, annotando gli avvenimenti più o meno consueti della vita di Collegio. Ma nelle maglie del ritmo quotidiano dettato dagli impegni accademici degli alunni spiccano come macchie di colore le incursioni della cronaca e della storia:
Marzo 18 Lunedì [1861]. Anniversario delle cinque gloriose giornate celebrato con festa religiosa a Milano. Con illuminazione. Vedi i giornali.
A mezzodì di questo giorno con 101 colpi di cannone fu solennemente annunciata in tutte le città della penisola la proclamazione del Regno d’Italia. Si aggiunse allo sparo di cannoni il suono festoso delle campane di tutte le chiese. Alla sera illuminazione generale. Anche la facciata del Collegio al solito illuminata. In Collegio N° 5 alunni che alla sera rimasero fuori fino alle 9 e ½ per concessione spontanea del Rettore.
Dall’inchiostro e dalla carta si respira un’aria festosa di gioia che esplode – nella città che ha già adeguato la propria toponomastica alla celebrazione degli eroi di un mondo trasformato -, un’atmosfera di libertà finalmente conquistata, un tumulto di luce, colori e musica, che trova spazio e tempo propizio anche il giorno seguente:
19 [marzo] […] Giorno di S. Giuseppe. Alcuni cittadini pubblicavano un avviso per ricordare il giorno del nome dell’invitto e glorioso Eroe (Garibaldi) per onorare il quale si stabilì una passeggiata al corso Garibaldi (corso di Porta Cremona). Alla sera banda musicale sul corso anzidetto, po[g]giolo affollato, baccano, luminarie solamente pel corso.
Ma la gioia non nasconde, semmai riecheggia e amplifica, la memoria di speranze fiorite, coltivate, inseguite e anche drammaticamente spezzate pochi anni prima. Il ricordo dell’anniversario delle Cinque Giornate di Milano è vivissimo, bruciante, altrettanto indelebili le tracce lasciate in altre pagine del Diario dalla narrazione di quei giorni concitati, che merita di essere riportata quasi per intero:
Essendosi saputo il venerdì sera (17 marzo) che ne’ giorni 13 e 14 marzo Vienna era insorta contro il Governo, e che l’Imperatore aveva abdicato e tutta la famiglia imperiale e i ministri e sopra tutti l’aborrito Meternicche erano fuggiti, anche Milano per consenso insorse a mezzodì del sabato successivo (18) e continuò l’insorgimento fino al giorno 22. I cittadini tutti ad una si sono battuti colla truppa il pomeriggio e la notte del sabato sudetto, la domenica, il lunedì, martedì e mercoledì. Hanno preso d’assalto tutte le caserme, tutti i posti di guardia, ricacciata nel castello tutta la truppa che tra quelli che già erano in Milano e i sopravvenuti dalle vicine città durante la gran battaglia combattuta dall’eroica Milano, montavano a 8 mila circa. Dal castello si tiravano cannonate, Dio sa quante, dì e notte, ma i cittadini ne ridevano e accorrevano da per tutto lieti e contenti a difendere, a offendere, a riparare, a barricare. Si contarono più di 3660 barricate, fatte in poco più di una notte e una mezza giornata. […] Pavia, di tutte le città e borgate di Lombardia, è la sola che ne sia uscita a buon mercato. L’eroica Milano fu quella che la salvò.
Gli eventi si rincorrono a ritmo battente, avvolti dai paludamenti di una retorica genuina e appassionata, non priva di alcune punte avvelenate – i nemici, gli austriaci, sono più volte dipinti come “barbari”, “feroci”, “crudelissimi” – e di una sorta di pudore letterario – “Più di due e di tre penne già celebri ne scriveranno la storia. Rimetto chi verrà dopo me a quella, se amerà di conoscere, e chi non dovrà amar di conoscere questo gloriosissimo combattimento che durò cinque giorni e cinque notti […]?”
La notte del 22 e del 23 marzo alle ore 11 ½ questa gente invisa, barbara, infernale se ne andò di cheto, che quasi nessuno se ne accorse, avendo messo stracci sotto i piedi dei cavalli e fasciate pur di stracci le ruote de’ carriaggi. Il giorno dopo (23) e più giorni di seguito furono qui di grande allegrezza, di canti, di evviva a Pio Nono e all’indipendenza italiana guadagnata dagli eroi di Milano. Tutta Lombardia e Piemonte si misero subito ad inseguire il fugente esercito dei barbari, che desideravano annichilare.
La gioventù d’ogni condizione (studenti e non studenti) calda di amor patrio e del desiderio di rendere una volta l’Italia indipendente, unita, forte, prese le armi, lasciò le scuole e le case e si diede, ordinata in corpi regolari di esercito, a combattere arditamente l’austriaco, il nemico d’Italia, nella pianura e nei monti della Venezia e del Tirolo ecc.
Specialmente il mondo studentesco e universitario è in ebollizione (la bella mostra pavese per i 150 dell’unità d’Italia si intitolava non a caso “Le università erano vulcani”):
Allora il Governo determinò di chiudere la Università, e quasi i Licei e i Seminari, dichiarando che li studenti d’ogni fatta, purché avessero sostenuto un esame con sufficiente lode intorno alla materia d’insegnamento del loro anno rispettivo o al termine del corrente anno scolastico o al principio del susseguente, non avrebbero perduto il tempo de’ loro studi, che il combattere per la patria e lo studiare il modo di difenderla, salvarla, renderla indipendente, forte, gloriosa, e recare siffatto in atti, è il migliore e il più bello delli studi che si possano fare.
E il Collegio, organismo di giovani, che attraversa la storia stando sempre al passo con gli eventi, è coinvolto nel clima mutato e nell’apparente silenzio delle aule universitarie:
Onde anche il Collegio è rimasto come chiuso dalla fine d’aprile fino al principio del vegnente novembre, non essendosi fatti più, durante il detto tempo, né esami né lezioni, se non che esami di rigore e Lauree per alcuni pochi, che, non militando ne’ campi delle battaglie, si sono presentati per dare l’ultima mano a’ loro studi.
Le speranze si incarneranno nei percorsi di tanti studenti e Le speranze si incarneranno nei percorsi di tanti studenti e alunni (di cui parleremo in altra occasione) a partire da quei giorni tumultuosi e non troveranno subito la loro realizzazione, ma questa è un’altra storia. Oggi ricordiamo la festa che in quell’entusiasmo quarantottino ha affondato le proprie radici, la fioritura abbacinante che da quella primavera ha tratto la propria linfa. L’eccezionalità della storia che trova il proprio posto nella rassicurante banalità del quotidiano: il “mercordì” 20 marzo la mano intinge l’inchiostro e annota:
I tre alunni [gli ultimi] partono questa mattina, e rimane vuoto il Collegio. Finalmente un po’ di riposo!