Il Collegio Borromeo ospedale militare nella Seconda Guerra Mondiale (prima parte)
Alla pagina 228v del registro del rettore, Cesare Angelini (subentrato a Rinaldo Nascimbene nel 1939) annota: Il 22 Aprile del 1941, per disposizione del Ministero della Guerra, il Collegio è requisito come Ospedale Militare, non ostante le pratiche fatte dal Consiglio di Amministrazione presso il Ministero dell’Educazione Nazionale per stornarne il pericolo. Nel pomeriggio del 22 aprile, i 48 studenti, presenti, lasciano il Collegio; 24 sono ospitati presso il Collegio Ghislieri; gli altri si collocano presso pensioni private o tornano presso le loro famiglie, seguiti da un assegno di L. 660 per il primo mese (22 aprile – 22 maggio).
Ma alla pagina successiva puntualizza, con tono amaro: L’Ospedale non funzionò neanche un giorno. Non accolse né un malato né un ferito: il solo ferito fu il Collegio Borromeo. E, d’intesa con l’autorità militare, il Collegio poté riaprire il 5 novembre e funzionare regolarmente.
Dunque tutto qui? Una manciata di mesi di effimera metamorfosi in Ospedale Militare? No. L’ospedale fu effettivamente installato, funzionò, anche se non subito, a pieno ritmo e, come già era accaduto durante la Prima Guerra Mondiale, l’occupazione si prolungò ben oltre il tempo ragionevole e il Collegio dovette durare fatica per ritornare a operare come istituto universitario, accogliendo nuovamente vecchi e nuovi alunni il 4 febbraio 1946.
Se le analogie tra le due esperienze ospedaliere sono molte, dalle carte d’archivio emerge in modo nitido una differenza sostanziale. Quando nel 1915 il Collegio aderisce alla richiesta di requisizione da parte dell’Autorità Militare lo fa con convinzione, sollecitato dallo spirito patriottico che coinvolge l’intera città e tutta la governance dell’istituzione borromaica a partire dal Patrono, pur nella consapevolezza che le difficoltà gestionali saranno molte, come evidenziano i fitti carteggi tra il Rettore Rodolfo Maiocchi, la dirigenza medica dell’ospedale (in primis Camillo Golgi) e quella militare. Alla stessa richiesta (quasi un’intimazione) giunta nel 1940 il Collegio risponde, invece, in modo del tutto opposto, cercando con ogni mezzo d’influenza, attraverso i soffocanti meandri della burocrazia, di evitare l’occupazione militare. Diciamo subito che le energie spese non serviranno a bloccare un meccanismo che pare inesorabilmente avviato.
Tutto inizia il 27 aprile 1940, quando un comunicato della Direzione di Sanità Militare del XVI Corpo d’Armata di Milano informa il Provveditorato agli studi di Pavia che, avendo “portato a termine gli studi relativi all’impianto degli Ospedali Territoriali in caso di mobilitazione. Dal sopraluogo eseguito, è stato ritenuto idoneo allo scopo il sottoelencato edificio scolastico, che è stato prescelto per le necessità in parola: Pavia – Collegio Borromeo”.
Una raccomandata del 24 gennaio 1941 indirizzata al Prefetto di Pavia e per conoscenza al Podestà di Pavia e alla direzione del Collegio Borromeo ancor più perentoriamente ribadisce che “il Collegio Borromeo di codesta città, preventivato per i bisogni in parola, dovrà essere lasciato a disposizione dell’Autorità militare entro sette giorni dal preavviso.” L’intervento del Prefetto segue di stretto giro: l’11 febbraio ordina che l’Amministrazione del Collegio Borromeo metta “a disposizione dell’Ufficio Lavori del Genio Militare della Difesa Territoriale di Milano il Collegio stesso per posti letto 400 ”. Un numero enorme, ma che già si era sfiorato nel ‘15- ‘18.
La notizia corre veloce tra gli uffici e genera preoccupazioni parallele, come quelle del Soprintendente ai Monumenti della Lombardia Gino Chierici, che scrive tempestivamente e con un certo allarme al Rettore il 19 febbraio: Mi viene comunicato che l’Autorità Militare Sanitaria del Corpo d’Armata di Milano ha intenzione di usufruire del Collegio Borromeo di Pavia per impiantarvi un Ospedale di guerra. Se la notizia è esatta occorrerà pregare l’Autorità Militare di escludere dall’uso indicato il grande salone dove sono gli affreschi di Cesare Nebbia e Federico Zuccari; ad ogni modo Vi prego di darmi notizie al riguardo.
Non c’è spazio di manovra, ma il Presidente del Consiglio d’Amministrazione del Collegio, Pietro Vaccari, tenta un’ultima carta per bloccare la risoluzione, inviando l’8 marzo quattro missive urgenti – al Ministro dell’Educazione Nazionale, all’Ispettore Superiore di tale ministero Ettore Raymondi, al Direttore della Sanità Militare dottor Celestino Gozzi e al Prefetto –, esponendo nel dettaglio, specialmente al Ministro, preoccupazioni e ragioni di natura pratica e proponendo una soluzione logistica alternativa: Il Consiglio d’Amministrazione del Collegio preoccupato dei gravi inconvenienti che da tale occupazione deriveranno, perché 50 studenti dovranno essere allontanati dai locali del Collegio proprio nel periodo che per l’approssimarsi degli esami e delle lauree richiede maggiore raccoglimento con l’uso delle sale di studio e della biblioteca la quale è stata a tale scopo particolarmente attrezzata, prega Vs. Ecc. di voler considerare la possibilità di un intervento allo scopo di ottenere che per l’apprestamento di un Ospedale Militare sia scelto altro fabbricato di questa città. Durante la guerra 1915/18 è stato adibito come Ospedale Militare il fabbricato delle scuole elementari “G. Carducci” che per la sua ampiezza, modernità di costruzione, comodità di servizi e vicinanza con la stazione ferroviaria, si è dimostrato assai adatto per un siffatto servizio. Confido che Vs. Ecc. possa acconsentire alla occupazione del predetto fabbricato “G. Carducci” anche per la considerazione che dovendo le scuole aver termine col 15 maggio p.v. il periodo di interruzione delle funzioni scolastiche del fabbricato stesso sarebbe assai breve. Vorrei anche aggiungere che il palazzo di questo Collegio è ricco di affreschi e di oggetti d’arte tanto che già la Sovraintendenza per la conservazione dei Monumenti di Lombardia ha dovuto intervenire raccomandando che talune parti siano possibilmente sottratte alla occupazione militare.
La motivazione per cui si indica il fabbricato delle Scuole Elementari “Carducci” come valida alternativa in quanto efficacemente collaudato nel precedente periodo bellico sorprende non poco: audace tentativo di far dimenticare che proprio il Borromeo aveva fatto la sua parte, e più a lungo di tutti gli altri reparti, nell’organizzazione di quel grande “ospedale diffuso” che era stata Pavia nella Grande Guerra.
La mossa non va comunque a segno, nonostante i buoni offici degli illustri interpellati.
La capitolazione è ormai inevitabile, si tratterà semmai di mettere a punto le questioni pratiche e gli aspetti economici (che si riveleranno spinosi), come si evince da una lunga lettera del Segretario di Amministrazione del Collegio Alfredo Perduca del 13 aprile, che esordisce così: Sulla proposta di assumere il servizio di fornitura del vitto agli ufficiali e ai militari che venissero ricoverati nell’istituendo Ospedale Militare Collegio Borromeo, sono d’avviso che si debba rispondere negativamente.
La “resa” è siglata con la comunicazione del Presidente del CdA all’ora Generale Gozzi in data 23 aprile 1941, dalla quale emergono chiare le preoccupazioni per le sorti del personale del Collegio: Mi pregio comunicarVi che ieri questo Collegio è stato sgombrato dagli alunni in modo che l’Autorità Militare avrà la possibilità di provvedere subito all’apprestamento del fabbricato per l’Ospedale Militare. Attendo ora di stipulare con un incaricato dell’Autorità Militare gli accordi per il trapasso della gestione del Collegio. Mi permetto poi di rivolgervi una viva preghiera perché vogliate esaminare la possibilità che il nostro personale esperto ed ottimo sotto ogni riguardo che si riduce ad un cuoco e cinque camerieri, sia impiegato nella gestione dell’Ospedale Militare; qualora non fosse assolutamente possibile l’assunzione di tutto il personale Vi pregherei vivamente di fare in modo che siano adibiti al servizio dell’Ospedale i due avventizi: Magnaghi Giuseppe e Sacchi Luigi che dovrebbero essere in caso diverso licenziati con grave danno loro e della famiglia.
Per il Borromeo si apre così una fase ibrida, di coabitazione forzata con un embrione di ospedale fatto di materiali immagazzinati in alcuni ambienti dell’antico palazzo e custoditi da pochi militari, porta a porta con gli alunni. In una nota del 4 ottobre si specifica che: 1° si procederà subito a liberare i locali del Collegio attualmente occupati dall’Ospedale, perché il Collegio possa riprendere il suo normale ritmo di vita all’apertura dell’anno accademico; 2° che il Rettore lascerà a ogni piano del Collegio (cioè piano terreno, piano nobile, ammezzati inferiori e superiori) camere sufficienti per accogliervi il materiale dell’ospedale, risparmiando così la fatica e gli eventuali guasti del trasportarlo da un piano all’altro; 3° che i 2 o 3 soldati che rimarranno in Collegio a custodire il materiale dell’ospedale saranno accantonati nel locale rustico dove già dormivano questa primavera e estate i soldati di presidio all’ospedale.
Che la situazione desti inquietudine si evince da una lettera inviata il 22 ottobre 1941 dal Presidente Vaccari al Maggiore Guido Rigobello Direttore del Policlinico di Pavia: Per ragione di decoro e di ordine da salvare nel Collegio Borromeo, specialmente in questi momenti, non credo conveniente che militari di truppa dormano nelle camere del piano nobile del Collegio o, comunque, in sale troppo comunicanti con gli studenti e la loro naturale e un po’ turbolenta vivacità. D’altra parte siamo già d’accordo coll’Ill.mo Signor Generale Gozzi che i soldati restano in Collegio a custodire il materiale dell’Ospedale, si raccolgono nel comodo locale di servizio sopra la lavanderia, vicino alla porta di servizio dalla quale potranno entrare e uscire. Questo anche perché, raccolti a dormire in un unico locale, si potrà anche meglio regolare tra l’Amministrazione del Collegio e quella dell’Ospedale la quistione del riscaldamento e della luce che i soldati consumano.
Si tratta comunque di una parentesi, strappata alle urgenze sanitarie: nell’estate del 1942 la metamorfosi da collegio a ospedale giunge infatti a compimento. Come riportato nel verbale di CdA del 10 luglio: a seguito dell’interessamento svolto presso le competenti autorità della Sanità Militare si è potuto ottenere che la consegna dello stabile venga effettuata il giorno 15 corr. In modo che nessun danno deriva agli alunni i quali col giorno 14 hanno ultimato tutti gli esami della prima sessione.
Il Presidente Vaccari tenta un ultimo affondo il 12 settembre 1942, richiamando le prioritarie e pressanti esigenze educative del Collegio: Si è chiuso in questi giorni il concorso per i posti vacanti di questo Collegio e vi ha partecipato un numero eccezionalmente alto di giovani; in quest’anno infatti il Collegio Ghislieri non ha bandito concorso e il Borromeo è il solo pertanto che si accinge ad accogliere per avviarli agli studi universitari giovani distinti, volonterosi e che abbisognano di assistenza specialmente nelle condizioni attuali della vita economica. Questo stato di cose fa risentire più vivamente il vantaggio che deriverebbero agli studi ed all’opera di assistenza universitaria se il locale del Collegio potesse essere ritornato alla sua normale destinazione. Se il fabbricato del Collegio dovesse infatti rimanere occupato come Ospedale Militare, l’Amministrazione sarebbe costretta a sostituire alla convivenza in Collegio dei giovani con tutti i vantaggi della vita comune dell’assistenza culturale, biblioteca, riunioni culturali, educazione fisica, la concessione di assegni di studio assai meno utili sotto ogni riguardo.
La risposta dell’Autorità Sanitaria Militare è, come prevedibile, negativa. Angelini annoterà più volte nel registro: “Anni di guerra: Collegio chiuso; alunni dispersi”. In realtà, ancora una volta nella sua lunga storia, il Collegio è chiamato a mutar pelle senza perdere se stesso, in questo caso aprendosi all’esterno, accompagnando economicamente gli alunni “sfollati” con sussidi di importo crescente, ma soprattutto seguendo umanamente la propria comunità studenti, perché non si scoraggino, non interrompano gli studi, perché “diano gli esami quando possono e come possono. Anche il 18 si salva”, guardando a un orizzonte di ripartenza e libertà che possa far tornare a respirare anche il grande palazzo, ma nella consapevolezza che il Borromeo non è solo un palazzo.