Spigolature d’Archivio – Passaggi di mano in una dedica

Spigolature d’Archivio – Passaggi di mano in una dedica

Passaggi di mano in una dedica: Angelini, Valsecchi, Comini

Quando la pagina di un libro diventa documento di ben tre rettorati

Le pagine dei libri racchiudono spesso piccoli tesori, tracce di tempi, luoghi, fatti, vite di cui sono stati ignari testimoni tra le mani, nelle tasche, sugli scaffali di chi li ha posseduti, sfogliati, portati con sé: dediche, annotazioni, epigrafi, incastrate nel margine di un foglio o nell’angolo affollato di un frontespizio o vergate più o meno discretamente su una quarta di copertina libera e vuota. Poche parole, che possono però condensare in pochi tratti un intero mondo di pensieri e sentimenti, relazioni amicali e professionali, tappe di un percorso, costellazioni di memorie. Attraverso queste iscrizioni, che a chi le appone appaiono il più delle volte ben poco solenni, decisamente innocue e non proiettate oltre l’immediato orizzonte di un’occasione particolare, il libro assume una veste ulteriore, diventa un veicolo di diversi e frammentari contenuti, una “capsula di memoria”, che altri sguardi riattiveranno, spesso del tutto casualmente (come si è visto in un’altra spigolatura).

In molti casi si affida al libro qualcosa di sé: un sentimento che si fatica a contenere, che bisogna in qualche modo esprimere e condividere, anche quando il libro non è donato ad altri, ma comprato per sé, ricevuto, usato; l’appunto assume così una forma quasi diaristica nello strettissimo vincolo di pochi segni e scarni vocaboli, tracciati magari a matita, nell’urgenza della provvisorietà. Come per le annotazioni lasciate da don Mario Tavazzani su due volumi (facenti ora parte della Biblioteca del Collegio) in due date significative, a un anno di distanza l’una dall’altra, suggelli commoventi di una drammatica parabola storica:

6 maggio 1944/ore 22
Domina negli animi una grande paura per i bombardamenti

30 aprile – S. Caterina – 1945
Alle ore 9.30 gli americani entrano a Pavia

Molte annotazioni sulle pagine dei libri possono rimanere arcane, indecifrabili (iniziali sconosciute, firme irriconoscibili, grafie illeggibili), ma altrettante sono trasparenti, nitide, aperte per l’occhio che voglia soffermarvisi. Date, luoghi, nomi, circostanze, in alcuni casi appena tratteggiati e allusi, in una stenografia che è quella propria della rapida annotazione personale. In altri casi, però, l’amore per la parola in sé (scelta con cura, alla ricerca della non-banalità), per il supporto (il libro, come oggetto e come testo in esso contenuto), per il destinatario (i volti noti che riceveranno il volume in dono, ma anche gli sconosciuti potenziali lettori che lo incroceranno chissà quando e chissà dove) e anche per il gesto stesso della scrittura (quel rapporto materiale, diretto, intimo tra mano, strumento impugnato e carta) portano lo scrivente a dedicarsi al compito con particolare dedizione e concentrazione. È questo il caso, come noto, di Cesare Angelini, che per la scrittura aveva un vero e proprio culto, ovunque, dalle dediche mai uguali, generiche o banali (come si può verificare nell’esempio qui a fianco)¹, alle lettere ufficiali e private, dalle note a margine ai minimi interventi anche su incartamenti asciuttamente burocratici. Amore per lo scrivere, che si intuisce immediatamente osservandone il tratto (riconoscibilissimo) preciso e ordinato, sempre leggibile, mai affrettato, distratto o sfuggente, anche quando è affaticato, sempre porto all’occhio, oltre che alla pagina, con grazia particolare, con l’idea e lo scopo di essere letto, con una dose di peculiare ed estetica intensità visiva, che conferisce dignità a ciò che scrive. Si potrebbe aggiungere che molta della passione grafica di Angelini sia strettamente legata all’altro suo “culto” (evidente nelle annotazioni che distribuisce sulle carte del Collegio): quello per la memoria. È sua cura costante la registrazione scritta (meticolosa e spesso con ritorni e aggiunte a distanza di tempo) di informazioni, opinioni, eventi, situazioni, nel tentativo, si direbbe, di porre ordine e chiarezza nel movimento e incrocio magmatico delle esistenze, nel «guazzabuglio» della storia: così, per esempio, quando sui registri precisa con puntiglio le cose fatte e accadute negli anni del proprio rettorato o quando aggiorna le notizie (e talvolta anche i giudizi) su alunni presenti e passati.
Ecco, allora, che la semplice nota su un libro può essere segno di un’attenzione, di un istinto di conservazione memoriale e tradursi col tempo in una scoperta emozionante. Sul foglio di guardia di un pregiato volume di storia dell’arte – I Musei e la Pinacoteca di Brescia di Gaetano Panazza, edito a Bergamo nel 1959 – compaiono ben tre annotazioni, scritte un po’ in sbieco. Due di esse sono di mano di Angelini e attestano un duplice passaggio di mano del libro, il primo frutto di una festosa circostanza:

Dono dei Borromaici bresciani, a ricordo del “raduno” tenuto in Brescia la sera del 29 settembre ’60. Angelini

il secondo di un tratto di fine sensibilità:

E, dieci anni dopo, donato al Rettore del Borromeo: d. Ambrogio Valsecchi. Angelini. giugno ’70

Questa dedica, a distanza di un decennio dalla prima epigrafe, per il fatto stesso di esistere dimostra come il dono sia stato personale: Angelini (ormai in “pensione” dal 1961) deve aver preso dalla propria libreria quel volume, che portava il segno della sua esperienza borromaica, con l’intenzione di donarlo al giovane don Ambrogio Valsecchi, Rettore da nemmeno un anno. Un gesto di affettuoso incoraggiamento, nel richiamare l’ideale continuità sia dell’impegno in un ruolo delicato, sia dell’affezione per l’importante istituzione e per la sua storia umana.
Meno di un anno dopo lo stesso volume sarà protagonista di un ulteriore tassello di questa storia: al termine di un’esperienza breve ma intensa, un nuovo avvicendamento rettorale è segnalato dal passaggio del testimone/libro. Nell’affettuosa dedica di Valsecchi ad Angelo Comini affiorano il sentimento di profonda amicizia verso il più illustre dei loro predecessori in quell’incarico e la consapevolezza di un gesto non superficiale, che è anche un umile passaggio di consegne:

A mia volta con affetto, lascio in dono, nel ricordo del carissimo Angelini, a don Angelo, augurando ogni bene,
dAValsecchi 13/3/’71

¹ Si veda inoltre: Cesare Angelini, Il libro delle dediche. Testimonianze di amicizia, a cura di Fabio Maggi, Pavia, TCP, 1995.

CZLaskaris

sito tematico della Biblioteca



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Passaggi di mano in una dedica: Angelini, Valsecchi, Comini

Quando la pagina di un libro diventa documento di ben tre rettorati

Le pagine dei libri racchiudono spesso piccoli tesori, tracce di tempi, luoghi, fatti, vite di cui sono stati ignari testimoni tra le mani, nelle tasche, sugli scaffali di chi li ha posseduti, sfogliati, portati con sé: dediche, annotazioni, epigrafi, incastrate nel margine di un foglio o nell’angolo affollato di un frontespizio o vergate più o meno discretamente su una quarta di copertina libera e vuota. Poche parole, che possono però condensare in pochi tratti un intero mondo di pensieri e sentimenti, relazioni amicali e professionali, tappe di un percorso, costellazioni di memorie. Attraverso queste iscrizioni, che a chi le appone appaiono il più delle volte ben poco solenni, decisamente innocue e non proiettate oltre l’immediato orizzonte di un’occasione particolare, il libro assume una veste ulteriore, diventa un veicolo di diversi e frammentari contenuti, una “capsula di memoria”, che altri sguardi riattiveranno, spesso del tutto casualmente (come si è visto in un’altra spigolatura).

In molti casi si affida al libro qualcosa di sé: un sentimento che si fatica a contenere, che bisogna in qualche modo esprimere e condividere, anche quando il libro non è donato ad altri, ma comprato per sé, ricevuto, usato; l’appunto assume così una forma quasi diaristica nello strettissimo vincolo di pochi segni e scarni vocaboli, tracciati magari a matita, nell’urgenza della provvisorietà. Come per le annotazioni lasciate da don Mario Tavazzani su due volumi (facenti ora parte della Biblioteca del Collegio) in due date significative, a un anno di distanza l’una dall’altra, suggelli commoventi di una drammatica parabola storica:

6 maggio 1944/ore 22
Domina negli animi una grande paura per i bombardamenti

30 aprile – S. Caterina – 1945
Alle ore 9.30 gli americani entrano a Pavia

Molte annotazioni sulle pagine dei libri possono rimanere arcane, indecifrabili (iniziali sconosciute, firme irriconoscibili, grafie illeggibili), ma altrettante sono trasparenti, nitide, aperte per l’occhio che voglia soffermarvisi. Date, luoghi, nomi, circostanze, in alcuni casi appena tratteggiati e allusi, in una stenografia che è quella propria della rapida annotazione personale. In altri casi, però, l’amore per la parola in sé (scelta con cura, alla ricerca della non-banalità), per il supporto (il libro, come oggetto e come testo in esso contenuto), per il destinatario (i volti noti che riceveranno il volume in dono, ma anche gli sconosciuti potenziali lettori che lo incroceranno chissà quando e chissà dove) e anche per il gesto stesso della scrittura (quel rapporto materiale, diretto, intimo tra mano, strumento impugnato e carta) portano lo scrivente a dedicarsi al compito con particolare dedizione e concentrazione. È questo il caso, come noto, di Cesare Angelini, che per la scrittura aveva un vero e proprio culto, ovunque, dalle dediche mai uguali, generiche o banali (come si può verificare nell’esempio qui a fianco)¹, alle lettere ufficiali e private, dalle note a margine ai minimi interventi anche su incartamenti asciuttamente burocratici. Amore per lo scrivere, che si intuisce immediatamente osservandone il tratto (riconoscibilissimo) preciso e ordinato, sempre leggibile, mai affrettato, distratto o sfuggente, anche quando è affaticato, sempre porto all’occhio, oltre che alla pagina, con grazia particolare, con l’idea e lo scopo di essere letto, con una dose di peculiare ed estetica intensità visiva, che conferisce dignità a ciò che scrive. Si potrebbe aggiungere che molta della passione grafica di Angelini sia strettamente legata all’altro suo “culto” (evidente nelle annotazioni che distribuisce sulle carte del Collegio): quello per la memoria. È sua cura costante la registrazione scritta (meticolosa e spesso con ritorni e aggiunte a distanza di tempo) di informazioni, opinioni, eventi, situazioni, nel tentativo, si direbbe, di porre ordine e chiarezza nel movimento e incrocio magmatico delle esistenze, nel «guazzabuglio» della storia: così, per esempio, quando sui registri precisa con puntiglio le cose fatte e accadute negli anni del proprio rettorato o quando aggiorna le notizie (e talvolta anche i giudizi) su alunni presenti e passati.
Ecco, allora, che la semplice nota su un libro può essere segno di un’attenzione, di un istinto di conservazione memoriale e tradursi col tempo in una scoperta emozionante. Sul foglio di guardia di un pregiato volume di storia dell’arte – I Musei e la Pinacoteca di Brescia di Gaetano Panazza, edito a Bergamo nel 1959 – compaiono ben tre annotazioni, scritte un po’ in sbieco. Due di esse sono di mano di Angelini e attestano un duplice passaggio di mano del libro, il primo frutto di una festosa circostanza:

Dono dei Borromaici bresciani, a ricordo del “raduno” tenuto in Brescia la sera del 29 settembre ’60. Angelini

il secondo di un tratto di fine sensibilità:

E, dieci anni dopo, donato al Rettore del Borromeo: d. Ambrogio Valsecchi. Angelini. giugno ’70

Questa dedica, a distanza di un decennio dalla prima epigrafe, per il fatto stesso di esistere dimostra come il dono sia stato personale: Angelini (ormai in “pensione” dal 1961) deve aver preso dalla propria libreria quel volume, che portava il segno della sua esperienza borromaica, con l’intenzione di donarlo al giovane don Ambrogio Valsecchi, Rettore da nemmeno un anno. Un gesto di affettuoso incoraggiamento, nel richiamare l’ideale continuità sia dell’impegno in un ruolo delicato, sia dell’affezione per l’importante istituzione e per la sua storia umana.
Meno di un anno dopo lo stesso volume sarà protagonista di un ulteriore tassello di questa storia: al termine di un’esperienza breve ma intensa, un nuovo avvicendamento rettorale è segnalato dal passaggio del testimone/libro. Nell’affettuosa dedica di Valsecchi ad Angelo Comini affiorano il sentimento di profonda amicizia verso il più illustre dei loro predecessori in quell’incarico e la consapevolezza di un gesto non superficiale, che è anche un umile passaggio di consegne:

A mia volta con affetto, lascio in dono, nel ricordo del carissimo Angelini, a don Angelo, augurando ogni bene,
dAValsecchi 13/3/’71

¹ Si veda inoltre: Cesare Angelini, Il libro delle dediche. Testimonianze di amicizia, a cura di Fabio Maggi, Pavia, TCP, 1995.

CZLaskaris

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