Spigolature d’Archivio – Da Montebello a Solferino

Spigolature d’Archivio – Da Montebello a Solferino

Da Montebello a Solferino: la guerra alle porte. Ancora il Collegio-ospedale, ma 160 anni fa…

Il 29 aprile, alle 2 ½ pomeridiane un imponente corpo di truppe austriache entrò nel vicino Piemonte, e chi desidera avere più ampie notizie legga i giornali.

Con queste parole (e lasciando i dettagli alla carta stampata) il compilatore del diario manoscritto del Collegio (probabilmente il vicerettore) inizia a stendere la cronaca delle giornate della tarda primavera ed estate del 1859, descrivendo con stile piuttosto asciutto, ma con scrupolo burocratico, le ripercussioni di eventi bellici di portata storica sulle vicende del Borromeo e dei suoi alunni, intrecciate a quelle dell’università e della città di Pavia.
Sono giornate convulse, che coincidono con la Seconda Guerra d’indipendenza, con lo scontro drammatico tra le truppe franco-sabaude e quelle imperiali austriache. La prossimità di Pavia al confine tra Lombardia e Piemonte e ai vari teatri di sanguinose battaglie la rende naturalmente strategica per la concentrazione delle forze militari e per l’organizzazione dei soccorsi sanitari. Prosegue infatti il diario:

Nell’istesso giorno la Congregazione Municipale diresse all’Amministrazione di questo Collegio una nota con N° 2306 colla quale previene la stessa Amministrazione che, giusta le precorse intelligenze, si tenga pronta ad accogliere uno degli ospitali di ambulanza che il militare intende instituire in questa città.

Questa iniziativa anticipa quanto si verificherà con l’allestimento del “Reparto Borromeo” dell’ospedale militare di riserva durante la Prima Guerra Mondiale. È piuttosto facile comprendere come l’imponenza e ampiezza dell’edificio e l’efficienza organizzativa e amministrativa potessero fornire garanzie di sicurezza, protezione e disponibilità di spazi per truppe stanziate a Pavia più o meno stabilmente, in periodi di guerra e di emergenza. Si verificano pertanto a più riprese dal ‘700 in avanti requisizioni, cessioni e occupazioni del Collegio: declinazioni terminologiche diverse di un unico fenomeno. Rimangono costanti la soddisfazione degli eserciti per l’eccellente e accogliente rifugio e trattamento e l’insoddisfazione dei rettori per le condizioni di generale devastazione del palazzo, per le lungaggini nello sgombero e per il disagio sofferto dagli studenti e dal personale. Ogni occupazione militare esige infatti un allontanamento, a tempo indeterminato, degli alunni e l’interruzione della normale attività del Collegio, trasformato in ben altro rispetto alla propria vocazione, ossia in ricovero militare, ospedale, ma soprattutto caserma:

Con altro foglio della Cong. Municipale 5 maggio N° 2387 si dichiara che il locale del Collegio è destinato ad ospitale militare d’ambulanza per gli ufficiali, ritenuto per fermo che si hanno a riservare assolutamente al loro uso attuale e quindi ad escludersi da qualsiasi uso nosocomiale i locali inservienti all’alloggio di Superiori del Collegio ed alla sua gestione Amministrativa.

Spesso si parte con specificazioni e rassicurazioni sulla particolare natura dell’ospedale da allestire, poi solitamente disattese, con conseguenze – come la strenua resistenza dei rettori agli abusi di potere militare, pur nel quadro della necessaria prudenza e della collaborazione con l’autorità municipale – che affiorano dalla penna di chi se ne fa cronista:

Il 6 maggio il locale del Collegio venne occupato ad uso di ospedale non pei soli ufficiali ma per tutta sorte di soldati. A gran stento si poté fino ad oggi 23 maggio riservare come esclusi i locali di Superiori e dell’Amministrazione. Si istituirono a spese comunali alcuni grandi fornelli, e uno stanzino pel bagno. L’Oratorio divenne magazzeno. Oltre alle stanze degli alunni vennero occupati anche i portici superiori, il salone e la sala attigua, escluso l’appartamento del Patrono. Del resto esigenze continue, disturbi e di giorno e di notte pei Superiori da soffrirne il Rettore. Faccia il Signore che abbiano a cessare in breve queste vessazioni! Quanti danni al locale del Collegio!
In alcuni giorni ci furono più di 600 malati.

Sembra di rileggere le stesse espressioni di amarezza e indignazione contenute nelle relazioni e lettere di un altro rettore e altro vicerettore tra il 1915 e il 1919. Le differenze paiono minime rispetto alle costanti.
Una più spartana organizzazione medico-sanitaria – non certo gli ambulatori all’avanguardia e le sale operatorie ben attrezzate del centro specializzato diretto da Camillo Golgi in Borromeo – permette nel 1859 di sfruttare fino all’ultimo metro quadro disponibile gli spazi dell’edificio, non solo gli ambienti chiusi ma anche i loggiati (d’altronde si è nella bella stagione), arrivando a una cifra strabiliante di ricoverati (600, rispetto al massimo di 400 durante la Prima Guerra Mondiale). Si potrebbe cogliere anche l’”internazionalità” dell’ospedale ottocentesco – che ospita soldati spesso di varie etnie, tra militari dei vari eserciti multinazionali e loro prigionieri – di contro alla grande varietà regionale dei soldati italiani ricoverati nel 1915-’18.
Diverse consuetudini igieniche suggeriscono l’impianto di un solo «stanzino per il bagno»¹, rispetto a due batterie di latrine supplementari che dovranno essere collocate sugli scaloni di rappresentanza nel secolo successivo, quando si moltiplicano i lavori strutturali, data la durata prevedibilmente maggiore del funzionamento dell’ospedale e una più moderna concezione dello stesso.
Nel 1859, come spesso accadeva agli oratori religiosi di altri edifici monumentali requisiti e trasformati in caserme (si pensi ai castelli), la cappella del Collegio non viene risparmiata e diventa magazzino²; sessant’anni dopo il rettore dovrà lamentare comportamenti poco decorosi e irrispettosi dell’ispirazione cristiana, oltre che laica, dell’antica istituzione fondata da san Carlo.
Nell’Ottocento il servizio di vitto può essere implementato con l’aggiunta di «alcuni grandi fornelli» e nei mesi successivi verrà distribuito anche a malati ricoverati altrove; nel 1915, invece, si dovrà allestire una vera e propria nuova cucina interamente attrezzata, per provvedere ai pasti dei militari degenti, ma si potrà anche far conto su impianti modernissimi, di ‘nuova generazione’ (corrente elettrica, riscaldamento, linea telefonica, acqua corrente).
Tratto in comune fra le due epoche è poi il fatto che il funzionamento sanitario del Borromeo si collochi in una costellazione di ospedali, creata appositamente a Pavia dall’autorità militare e costituita nel 1915 da quattordici strutture, nel 1859 da una decina:

In questa città si trasformarono in ospedale di ambulanza i due Collegi, l’orfanotrofio maschile e femminile, il Seminario, la caserma ex seminario generale oltre i due ospedali militari a P[orta] Borgoratto, la chiesa del Carmine coi locali delle scuole elementari, il Ginnasio liceale a Canepanova [n.b. Attuale Liceo Classico Ugo Foscolo].

La città (sede di ateneo e quindi fucina di medici) diventa centro nevralgico per i soccorsi e qui si può cogliere il vero tratto distintivo tra le due epoche: durante la Prima Guerra Mondiale, infatti, Pavia – pur mobilitatasi patriotticamente e generosamente con tutta la propria cittadinanza – è lontana dalle trincee, dalle esplosioni, dalle stragi e ne vive gli echi e le conseguenze sotto forma di brutali ferite da curare, di traumi da sanare, di atroci testimonianze di soldati e di profughi; tra l’aprile e il luglio del 1859, invece, il territorio pavese vive molto più da vicino, sulla propria soglia, gli effetti di una guerra, certamente diversa sotto il profilo tecnico, ma ugualmente cruenta: spostamenti e acquartieramenti di truppe di varia provenienza, scontri campali, strategie e tattiche militari, battaglie decisive. Morti da seppellire e onorare. Feriti e mutilati da raccogliere e a cui provvedere.

L’università viene chiusa il 18 maggio e il diario rettorale annota le prescrizioni per gli studenti, che possono «continuare i propri studi in via privata per subire gli esami relativi»: esenzione dalle tasse universitarie, possibilità di seguire corsi di Medicina negli ospedali abilitati dei capoluoghi di provincia, esami di Stato che possono essere sostenuti dagli studenti di Legge, possibilità per professori autorizzati di «istruire alcuni distinti giovani per cui assumano la garanzia, specialmente nelle scienze che esigono una dimostrazione». Gli ingranaggi della formazione universitaria non cessano di funzionare, per vie alternative.

La situazione intanto si fa più drammatica, in una rapida successione di battaglie tra l’esercito franco-piemontese e quello austriaco: 20 maggio Montebello, 30 maggio Palestro, 4 giugno Magenta. Un crescendo di virulenza bellica che porterà il 24 giugno allo scontro definitivo: Solferino. Il bilancio spaventoso di questa giornata sgomentò i due nemici; da quella carneficina si fece strada la chiara necessità di un organismo di intervento sanitario super partes durante le azioni di guerra: dall’ispirazione dello svizzero Jean Henri Dunant, che vi aveva assistito (autore della celebre memoria Un souvenir de Solférino), nacque la Croce Rossa.

Anche nel diario (dopo la rinnovata avvertenza: «Per li avvenimenti guerreschi di questi giorni si leggano i giornali») troviamo il riflesso di questi fatti nelle vicende più pratiche del Collegio-ospedale; le parole, nella cui semplicità si stempera ogni corrusco bagliore d’eroismo, ricreano un’immagine vivida delle pietose conseguenze di una sconfitta e di una ritirata precipitosa:

Domenica 5 giugno in sulla sera ordine alle Autorità Militari dell’ospedale in questo Collegio di disporre ogni cosa per la partenza perché le truppe Franco-Sarde si erano avvicinate al Ticino dopo la vittoria di Palestro riportata il giorno 4. Alla mattina seguente (6) verso le 8 un affaccendarsi a caricare roba, armi, malati e feriti. Era spettacolo miserando il vedere quei poveri malati e feriti che non potevano star in piedi insistere, piangere e gridare perché fossero collocati sui carri e condotti via. Che scena straziante! Si era fatto credere a quei poveri malati austriaci che i Francesi ed i Piemontesi avrebbero ucciso barbaramente i malati austriaci negli ospedali.
I militari che erano al governo dell’ospedale raccomandavano calorosamente i malati al Rettore che li assicurò che ne prendeva tutta la cura da quel momento senza far distinzione di italiani, di francesi, di austriaci. Lasciarono così circa 80 malati ai quali venne provveduto il vitto per quel giorno dal Collegio per conto dell’Amministrazione comunale.

Il 7 giugno tornano gli Austriaci – gettando nello sgomento la popolazione che aveva già festeggiato -, ma provvisoriamente: «Un generale visitò gli ospedali: trovò i malati assistiti caritativamente. […] Il giorno seguente (8) verso le 10 antimeridiane [la truppa] partì, per sempre? Faccia il cielo!»
Giunge il mese di luglio:

Il locale di questo Collegio continuò ad essere ospedale di malati e di feriti, per la maggior parte tedeschi, pochi francesi. […] Il giorno 8 [luglio] il locale del Collegio è di nuovo dichiarato a disposizione del Municipio, destinato ospedale di Francesi e Piemontesi feriti nella terribile battaglia di Solferino dove tra morti e feriti dell’esercito alleato si contavano quasi 18mila – degli Austriaci 50mila – giornata formidabile.

L’aggettivo stride alla nostra lettura, ma vuole trasmettere l’eccezionalità impressionante dei numeri della strage.
Sembra che dopo questo durissimo colpo le ostilità siano finite e che si possa sperare in un rapido, per quanto faticoso, ritorno alla normalità. Non è proprio così; le notizie si affastellano:

29 [luglio] Si cominciò a levare dal locale del Collegio i pagliericci, ed altri oggetti di spettanza del Comune – e si spera che tra pochi giorni verrà totalmente sgombrato il Collegio.
Agosto 3 Il locale del Collegio viene oggi occupato come caserma da più di 1300 Francesi che ritornano in Francia – così si credeva nei primi giorni, in seguito da molti indizi parve che questa truppa debba pur fermarsi in Italia. Infatti, a tutt’oggi 16 agosto nessuna disposizione per la partenza, anzi.

Nel frattempo ci sono celebrazioni, illuminazioni a festa della città e del Collegio. Il 18 settembre l’entusiasmo sale alle stelle:

Giorno di gioia, di esultanza che non può essere descritto con parole…
Oggi alle 9 e tre quarti arrivò a Pavia S.M. il nostro Re Vittorio Emanuele II.
Le descrizioni dei preparativi fatti per onorare convenientemente il Re si leggano nei giornali.

Ormai siamo abituati a questa formula (in realtà subito dopo il compilatore si sofferma sullo svolgimento delle varie celebrazioni, cui partecipò il rettore), ma quell’aggettivo “nostro” è un guizzo di patriottismo: dice tutto l’orgoglio di una libertà, di una indipendenza corale, nazionale, a lungo sospirate, cercate e infine trovate, a grande prezzo di sangue.
Ma il Collegio-ospedale? Anzi, ormai Collegio-caserma francese. Come accadrà anche nel 1919, si deve constatare la molto minore difficoltà dell’autorità militare a installarsi nel Borromeo che ad abbandonarlo:

Il Rettore insistè continuamente presso il S. Podestà D.G. Zanini perché avesse a trovar modo di far sgomberare la truppa francese da questo stabilimento per caso che si dovesse quandochesia riaprire l’Università. Alla fine dei conti questo Collegio è affatto privato: se si trattasse di truppe di passaggio, o in tempo di guerra si dovrebbe tollerare ogni disturbo. Ma volerlo trasformare in caserma quando l’Università è aperta, e perciò che gli alunni, la servitù, gli altri impiegati debbano sottostare a gravi danni, che una parte della rendita di questa benefica istituzione debba impiegarsi in riparare i guasti dell’occupazione militare non assolutamente necessaria, non si potè mai tollerare in pace dal Rettore. […] Alla fin fine l’Egregio Podestà si assunse questo grave incarico di presentare un’insistente domanda al Ministero della Guerra. […] Si ottenne che un reggimento di Zuavi abbandonasse questa città e si sgomberasse il Collegio Borromeo. […]
18 ottobre Dopo la partenza degli Zuavi, i soldati stanziati in Collegio ebbero l’ordine di mettere insieme le loro robe e di prepararsi a cambiare caserma – alle 3 ore pomeridiane partì la maggior parte e se ne andò in Castello ed in altre caserme – il giorno seguente 19 sgombrò il rimanente e questo stabilimento dopo mezzogiorno veniva evacuato. – Sia benedetto il Signore. – Ora rimane che si dia mano immediatamente agli espurghi e alle riparazioni, che sono moltissime.

Giusto in tempo per festeggiare come sempre il 4 novembre san Carlo Borromeo, fondatore e patrono del Collegio, e per farsi trovare pronti alla riapertura nell’Università, prorogata con provvido decreto al 21 novembre di quell’anno.

CZLaskaris

sito tematico della Biblioteca

¹ Una comunicazione del rettore Fumagalli del 10 agosto 1859 sottolinea in modo molto chiaro l’insufficienza del sistema di latrine del Collegio e le gravi conseguenze per la tenuta stessa dei muri dell’edificio e per l’inquinamento dell’acqua. Il Reparto Borromeo si troverà ad affrontare i medesimi problemi nell’agosto del 1915.

² Il 27 maggio 1859 il Rettore invia alla Congregazione Municipale l’elenco delle suppellettili ecclesiastiche ancora presenti nell’oratorio del Collegio occupato dai militari.