Spigolature d’Archivio – 1654: «catastrophe» in Collegio

Spigolature d’Archivio – 1654: «catastrophe» in Collegio

Un Trivulzio, un Archinto e la disciplina nel Seicento

Negli assidui scambi epistolari tra Patroni e Rettori nel corso di quattro secoli e mezzo, affiorano non di rado preoccupazioni di carattere disciplinare legate alla condotta dei collegiali. Si tratta quasi sempre di richiami piuttosto generici al rispetto dei regolamenti e dei principi fissati dalle Constitutiones, ma in alcuni casi prendono forme più specifiche, dettate dall’urgenza, in particolare in un secolo, il Seicento, in cui sembrano infittirsi le attestazioni di comportamenti insolenti e aggressivi, dentro e fuori il Collegio.

MX-2600N_20160127_115959_001

MX-2600N_20160127_115959_001 (copia)Da una delle pagine del primo registro degli Alunni, balza agli occhi innanzi tutto graficamente, isolato com’è al centro dello spazio vuoto che segue le consuete informazioni anagrafiche, un termine inquietante: “Catastrophe“. Subito dopo si staglia sulla carta la sostanza di un fatto di notevole gravità, che contribuì alla metà del XVII secolo a evidenziare drammaticamente una deriva pericolosa nei comportamenti degli studenti: la morte violenta dell’alunno Francesco Trivulzio, figlio di Giorgio, avente quattro fratelli e sette sorelle, entrato in Collegio il 2 dicembre del 1653 a vent’anni, dopo aver studiato Retorica e Logica a Roma. Curiosamente non è compreso negli elenchi ufficiali di alunni, l’archivio non ne conserva l’istanza o la patente di nomina; di lui si trova notizia solo in questa pagina di registro e in una relazione che, come vedremo, scaturì dalla sua uccisione.
Le righe iniziali del fitto testo calligrafico restituiscono i cupi contorni della vicenda, che si possono così ricostruire: il 25 marzo 1654, giorno della festa dell’Annunciazione, il Trivulzio viene ferito da un colpo d’arma da fuoco («plumbea pila percussus») in seguito a una rissa o contesa scoppiata – dettaglio impressionante e aggravante – in chiesa, forse la cappella stessa del Collegio («Rixam in ecclesia c[o]eptam clades in ara […] excepit»); spirerà dopo otto giorni di agonia («octavo ab ictu die in Collegio vitam cum morte mutavit»). Alcuni riferimenti retorici di carattere allegorico-morale nel lungo commento che segue – come l’apologo di origine esopica dello scarabeo e dell’aquila e metafore di carattere botanico – paiono evidenziare un clima di insicurezza («En ut nihil ab omni parte tutum est et securum!» scrive sconcertato e addolorato il Rettore) e turbolenza nella vita degli adolescenti, determinato anche da questioni di insofferenza o errata valutazione dei rispettivi ruoli.
Il documento andrebbe analizzato più nel dettaglio per comprenderne tutte le implicazioni, ma certamente l’evento luttuoso fu la proverbiale “goccia che fa traboccare il vaso”.

In breve torno di tempo, nel maggio 1654, viene infatti affidato al conte Carlo Archinto – entrato come alunno in Borromeo nel 1628, laureatosi all’Università di Pavia in utroque iure nel 1632 e allora nel pieno di una prestigiosa carriera nelle magistrature milanesi – il compito di investigare e illustrare in modo circostanziato e per iscritto la situazione disciplinare del Collegio, per individuarne manifestazioni e cause e valutare i provvedimenti correttivi più adatti. Le indicazioni vergate dalla mano di un rettore ottocentesco sulla carpetta del fascicoletto attestano l’autenticità e l’interesse storico del documento:

relazione Archinto, carpettaRelazione sulla disciplina del Collegio Borromeo fatta dal Sig. Carlo Archinto già alunno in esso Collegio dell’anno 1654. Carta attendibile per conoscere i tempi.

In dieci pagine fitte e ordinate l’Archinto dipinge – con i toni severi e preoccupati dell’alunno di un tempo, ma anche con quelli pragmatici e precisi dell’uomo di legge – il quadro dettagliato di un corpo, che si vorrebbe protetto e sano, ma è affetto da vari mali, contagiato dalla deleteria influenza del mondo esterno, indebolito nelle proprie fondamenta culturali e morali da abitudini opposte a quelle fissate nelle Constitutiones. Un corpo bisognoso, diremmo oggi, di una terapia d’urto, a difesa della gloriosa storia dell’istituzione che lo ospita e del nome del casato che l’ha fondata.

relazione Archinto 1aIl Collegio sempre stimato la più sana parte dell’Università di Pavia, ha patito questi anni per essersi l’osservanza assai allentata, e posto in non calle l’osservanza de quegli ordinamenti che ne sono il fondamento.

I sintomi della malattia sono fin troppo evidenti, si va dall’eccessiva libertà di movimento alla mancanza di austerità e decenza nell’abbigliamento, dall’impoverimento del sentimento religioso alle fughe notturne, dalle cattive compagnie all’ozio, per giungere fino al porto d’armi, fonte reale di disordini e disgrazie. Un crescendo di malcostume, che finisce per esplodere in un evento funesto.

Hanno gli alunni di quel luogo presa gran libertà nel vagare per la Città, di portar armi, di vestire sotto con seta, et altri prohibiti ornamenti, di cambiar compagni, con che con facilità si sono accostati a costumi scielti de gl’altri scolari di quella università, di qui è nata poca stima de superiori, poca applicazione alla Pietà, et a studi. Si sono introdotte fra gli scolari parti, risse e garre, che tenghono inquieto il publico e pericoloso il privato […] non è mancato chi con chiavi adulterine ha procurato di notte tempo involarsi dal Collegio ad azioni illecite; da qui finalmente è nato l’ultimo accidente della morte del Triulzo, c’ha posto in scompiglio tutto il Collegio.

I relazione Archinto 5bprovvedimenti suggeriti dall’Archinto sono articolati, ma consistono sostanzialmente nell’esercizio di un più serrato controllo del rispetto delle regole già esistenti – anche le più apparentemente minute, come le raccomandazioni relative alla sobrietà del vestiario, in realtà tutt’altro che obsolete, se indumenti e accessori venivano portati con tracotanza, per sfoggio ed esibizione di un certo rango – da parte degli Alunni «per se stessi inclinati alla libertà in una università piena di costumi troppo sciolti»; nella vigilanza anche ‘psicologica’ e comportamentale da parte del Rettore; nella verifica puntuale e continua dell’applicazione allo studio e del livello di preparazione didattica dei collegiali e, non da ultimo, nel favorire quell’elevazione spirituale e intellettuale che passa per la coltivazione delle «belle lettere» attraverso «accademie» e «conferenze» affidate a docenti scelti tra i migliori dell’ateneo.
In chiusura della sua relazione, nel ribadire la necessità di ferrea intransigenza, l’Archinto concentra l’attenzione sulla quella che parrebbe essere anche la matrice effettiva del recente delitto:

«fra’ scolari di questo Collegio sono le divisioni le parzialità e le fazioni fra di loro, nascono queste, o da preminenza, che pretendono li più vecchi sopra de giovani, o da disgusti che fra di loro tenghono, de quali dimandano a parte gl’amici, e di qui nascono le conventicole, le mormorationi».

MX-M565N_20160622_164219_001 (copia)Atteggiamenti radicati, quelli stigmatizzati dall’Archinto, di contrapposizione sociale, familiare, economica e personale, ai quali il Collegio deve rispondere con la propria rigorosa logica morale, fissata fin dalla fondazione, «non admettendo altra superiorità o diseguaglianza che quella della stima dell’ingegno studi e pietà, facendo la sopraveste ogn’uno eguale.» Di una certa mentalità aristocratica seicentesca traccerà il Manzoni nei Promessi sposi un ritratto icastico attraverso la vicenda esemplare di Lodovico-padre Cristoforo, coinvolto in un caso di contesa e ‘onore’ sfociato in un delitto. In un simile quadro può inserirsi anche la “rissa” che vide vittima il Trivulzio.

Non sappiamo quali siano stati i provvedimenti nell’immediato e i risultati in termini di condotta degli alunni (altri problemi disciplinari interni documentati negli anni subito successivi lasciano intuire la persistenza di intemperanze comportamentali), ma potrebbe essere collegato a questo evento e al grave tema della sicurezza un mandato di pagamento del 18 maggio 1654 per una cospicua serie di lavori eseguiti alle serrature di vari ambienti del Collegio.

sito tematico della Biblioteca



Spigolature d’Archivio – 1654: «catastrophe» in Collegio

Spigolature d’Archivio – 1654: «catastrophe» in Collegio

Un Trivulzio, un Archinto e la disciplina nel Seicento

Negli assidui scambi epistolari tra Patroni e Rettori nel corso di quattro secoli e mezzo, affiorano non di rado preoccupazioni di carattere disciplinare legate alla condotta dei collegiali. Si tratta quasi sempre di richiami piuttosto generici al rispetto dei regolamenti e dei principi fissati dalle Constitutiones, ma in alcuni casi prendono forme più specifiche, dettate dall’urgenza, in particolare in un secolo, il Seicento, in cui sembrano infittirsi le attestazioni di comportamenti insolenti e aggressivi, dentro e fuori il Collegio.

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MX-2600N_20160127_115959_001 (copia)Da una delle pagine del primo registro degli Alunni, balza agli occhi innanzi tutto graficamente, isolato com’è al centro dello spazio vuoto che segue le consuete informazioni anagrafiche, un termine inquietante: “Catastrophe“. Subito dopo si staglia sulla carta la sostanza di un fatto di notevole gravità, che contribuì alla metà del XVII secolo a evidenziare drammaticamente una deriva pericolosa nei comportamenti degli studenti: la morte violenta dell’alunno Francesco Trivulzio, figlio di Giorgio, avente quattro fratelli e sette sorelle, entrato in Collegio il 2 dicembre del 1653 a vent’anni, dopo aver studiato Retorica e Logica a Roma. Curiosamente non è compreso negli elenchi ufficiali di alunni, l’archivio non ne conserva l’istanza o la patente di nomina; di lui si trova notizia solo in questa pagina di registro e in una relazione che, come vedremo, scaturì dalla sua uccisione.
Le righe iniziali del fitto testo calligrafico restituiscono i cupi contorni della vicenda, che si possono così ricostruire: il 25 marzo 1654, giorno della festa dell’Annunciazione, il Trivulzio viene ferito da un colpo d’arma da fuoco («plumbea pila percussus») in seguito a una rissa o contesa scoppiata – dettaglio impressionante e aggravante – in chiesa, forse la cappella stessa del Collegio («Rixam in ecclesia c[o]eptam clades in ara […] excepit»); spirerà dopo otto giorni di agonia («octavo ab ictu die in Collegio vitam cum morte mutavit»). Alcuni riferimenti retorici di carattere allegorico-morale nel lungo commento che segue – come l’apologo di origine esopica dello scarabeo e dell’aquila e metafore di carattere botanico – paiono evidenziare un clima di insicurezza («En ut nihil ab omni parte tutum est et securum!» scrive sconcertato e addolorato il Rettore) e turbolenza nella vita degli adolescenti, determinato anche da questioni di insofferenza o errata valutazione dei rispettivi ruoli.
Il documento andrebbe analizzato più nel dettaglio per comprenderne tutte le implicazioni, ma certamente l’evento luttuoso fu la proverbiale “goccia che fa traboccare il vaso”.

In breve torno di tempo, nel maggio 1654, viene infatti affidato al conte Carlo Archinto – entrato come alunno in Borromeo nel 1628, laureatosi all’Università di Pavia in utroque iure nel 1632 e allora nel pieno di una prestigiosa carriera nelle magistrature milanesi – il compito di investigare e illustrare in modo circostanziato e per iscritto la situazione disciplinare del Collegio, per individuarne manifestazioni e cause e valutare i provvedimenti correttivi più adatti. Le indicazioni vergate dalla mano di un rettore ottocentesco sulla carpetta del fascicoletto attestano l’autenticità e l’interesse storico del documento:

relazione Archinto, carpettaRelazione sulla disciplina del Collegio Borromeo fatta dal Sig. Carlo Archinto già alunno in esso Collegio dell’anno 1654. Carta attendibile per conoscere i tempi.

In dieci pagine fitte e ordinate l’Archinto dipinge – con i toni severi e preoccupati dell’alunno di un tempo, ma anche con quelli pragmatici e precisi dell’uomo di legge – il quadro dettagliato di un corpo, che si vorrebbe protetto e sano, ma è affetto da vari mali, contagiato dalla deleteria influenza del mondo esterno, indebolito nelle proprie fondamenta culturali e morali da abitudini opposte a quelle fissate nelle Constitutiones. Un corpo bisognoso, diremmo oggi, di una terapia d’urto, a difesa della gloriosa storia dell’istituzione che lo ospita e del nome del casato che l’ha fondata.

relazione Archinto 1aIl Collegio sempre stimato la più sana parte dell’Università di Pavia, ha patito questi anni per essersi l’osservanza assai allentata, e posto in non calle l’osservanza de quegli ordinamenti che ne sono il fondamento.

I sintomi della malattia sono fin troppo evidenti, si va dall’eccessiva libertà di movimento alla mancanza di austerità e decenza nell’abbigliamento, dall’impoverimento del sentimento religioso alle fughe notturne, dalle cattive compagnie all’ozio, per giungere fino al porto d’armi, fonte reale di disordini e disgrazie. Un crescendo di malcostume, che finisce per esplodere in un evento funesto.

Hanno gli alunni di quel luogo presa gran libertà nel vagare per la Città, di portar armi, di vestire sotto con seta, et altri prohibiti ornamenti, di cambiar compagni, con che con facilità si sono accostati a costumi scielti de gl’altri scolari di quella università, di qui è nata poca stima de superiori, poca applicazione alla Pietà, et a studi. Si sono introdotte fra gli scolari parti, risse e garre, che tenghono inquieto il publico e pericoloso il privato […] non è mancato chi con chiavi adulterine ha procurato di notte tempo involarsi dal Collegio ad azioni illecite; da qui finalmente è nato l’ultimo accidente della morte del Triulzo, c’ha posto in scompiglio tutto il Collegio.

I relazione Archinto 5bprovvedimenti suggeriti dall’Archinto sono articolati, ma consistono sostanzialmente nell’esercizio di un più serrato controllo del rispetto delle regole già esistenti – anche le più apparentemente minute, come le raccomandazioni relative alla sobrietà del vestiario, in realtà tutt’altro che obsolete, se indumenti e accessori venivano portati con tracotanza, per sfoggio ed esibizione di un certo rango – da parte degli Alunni «per se stessi inclinati alla libertà in una università piena di costumi troppo sciolti»; nella vigilanza anche ‘psicologica’ e comportamentale da parte del Rettore; nella verifica puntuale e continua dell’applicazione allo studio e del livello di preparazione didattica dei collegiali e, non da ultimo, nel favorire quell’elevazione spirituale e intellettuale che passa per la coltivazione delle «belle lettere» attraverso «accademie» e «conferenze» affidate a docenti scelti tra i migliori dell’ateneo.
In chiusura della sua relazione, nel ribadire la necessità di ferrea intransigenza, l’Archinto concentra l’attenzione sulla quella che parrebbe essere anche la matrice effettiva del recente delitto:

«fra’ scolari di questo Collegio sono le divisioni le parzialità e le fazioni fra di loro, nascono queste, o da preminenza, che pretendono li più vecchi sopra de giovani, o da disgusti che fra di loro tenghono, de quali dimandano a parte gl’amici, e di qui nascono le conventicole, le mormorationi».

MX-M565N_20160622_164219_001 (copia)Atteggiamenti radicati, quelli stigmatizzati dall’Archinto, di contrapposizione sociale, familiare, economica e personale, ai quali il Collegio deve rispondere con la propria rigorosa logica morale, fissata fin dalla fondazione, «non admettendo altra superiorità o diseguaglianza che quella della stima dell’ingegno studi e pietà, facendo la sopraveste ogn’uno eguale.» Di una certa mentalità aristocratica seicentesca traccerà il Manzoni nei Promessi sposi un ritratto icastico attraverso la vicenda esemplare di Lodovico-padre Cristoforo, coinvolto in un caso di contesa e ‘onore’ sfociato in un delitto. In un simile quadro può inserirsi anche la “rissa” che vide vittima il Trivulzio.

Non sappiamo quali siano stati i provvedimenti nell’immediato e i risultati in termini di condotta degli alunni (altri problemi disciplinari interni documentati negli anni subito successivi lasciano intuire la persistenza di intemperanze comportamentali), ma potrebbe essere collegato a questo evento e al grave tema della sicurezza un mandato di pagamento del 18 maggio 1654 per una cospicua serie di lavori eseguiti alle serrature di vari ambienti del Collegio.

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