Spigolature d’Archivio – Studiamo ora il calorifero

Spigolature d’Archivio – Studiamo ora il calorifero

«Studiamo ora il calorifero»
L’inverno in Collegio, tra ghiaccio e fuoco

Avvolti come siamo nel rassicurante tepore, che rende confortevoli anche in inverno gli ambienti del palazzo e ben percepibile l’escursione termica tra il fuori – scaloni, loggiati, giardini – e il dentro – camere, sale studio, biblioteca, refettorio – riesce difficile immaginarsi cosa possa aver significato affrontare qui i ben più lunghi e rigidi inverni dei secoli, ma anche solo dei decenni passati (gli Alunni dei vicinissimi anni Sessanta ricordano con un brivido i vetri delle finestre ghiacciati e il disagio delle docce a piano terra).
In effetti, la conquista del calore è faccenda tutto sommato recente e per quasi quattro secoli i locali riscaldati del Collegio si possono contare sulle dita di una mano: la cucina, per ovvi motivi, la sala di ricevimento del Rettore al piano terra lato est – l’attuale Sala del Camino, appunto, arricchito da una sontuosa decorazione plastica policroma con le insegne araldiche dei Borromeo – e lo Scaldatoio, nome parlante del grande ambiente annesso al Refettorio destinato alla ricreazione degli Alunni e dotato a tale scopo per i mesi più freddi di due giganteschi camini: «la sera in tempo di ricreatione l’invernata [durante l’inverno] non escono mai fuori del Scaldatorio» precisa il solito dettagliato vademecum del rettore Mascaro (1629), che fornisce anche prudenti raccomandazioni per l’accensione del fuoco:

Si avertirà nondimeno di non far a quel camino [del Rettore] troppo gran fuoco, che talvolta non crepasse la pietra […] Nel Scaldatorio […] nel foco s’osservarà il medesimo per li camini, che si è detto sopra; vi si può fare buon fuoco, ma non troppo eccessivo.

D’altronde il timore di incendi dovuti all’uso di focolari improvvisati era all’ordine del giorno e i pericoli concreti; ancheFederico Borromeo è lapidario in proposito in una sua lettera del 28 dicembre 1596 al Rettore:

Non si deve tollerare che alcuno de giovani accenda il fuoco privatamente nella sua camera sotto qualonche protesta. Però per fuggire simili inconvenienti fate murare tutti i camini in modo che non si possino usarsi.

In Collegio, pertanto, regnava il freddo più totale, come testimoniano anche quelle grandi porte in legno a un solo battente, che conducono in Sala Bianca, Refettorio, Sala dei Camini e antica Sala di ricevimento del Rettore e che incuriosiscono tutti i visitatori con il loro aspetto sghembo, dovuto ai cardini in ferro battuto appositamente asimmetrici: pratico sistema di chiusura veloce e “automatica” degli usci, che intrappolava il calore all’interno degli ambienti.
Peraltro, il rigore climatico doveva abbinarsi anche a quello disciplinare, volto a temprare gli animi degli Alunni senza indulgere a troppe comodità e mollezze, come attestano le già citate raccomandazioni del Mascaro:

Non si scalda il letto ad alcuno, se non per infirmità, né si permette fuoco in camere.

Sono pertanto banditi scaldini da letto e bracieri di ogni sorta; si invitano, però, i Camerieri e gli Scolari a gettare nell’”invernata” l’acqua delle stanze «nel cortile, perché gelerebbe sopra li portici», dove invece veniva normalmente riversata in estate. Prescrizioni che possono farci sorridere, ma che danno l’idea di una quotidiana lotta contro le conseguenze delle temperature invernali e le insidie del ghiaccio e della neve abbondante, che si doveva aver cura di spazzare via dai loggiati, dai canali, dai tetti.

Questo stato di cose cambia drasticamente dopo tre secoli: il Novecento, era della modernità, della velocità, del progresso tecnologico al servizio dell’uomo, si apre anche in Borromeo con lo splendore della luce artificiale (qui attivata nel corso del 1905) e subito l’entusiasmo degli Alunni si allarga, del tutto naturalmente, a vagheggiare l’attuarsi di un altro “prodigio”: il calore anche d’inverno. Un aggiornamento necessario per stare al passo con i tempi, ma anche una sfida strutturale e logistica non banale per il grande palazzo cinquecentesco; un cambiamento a suo modo epocale, che si rivelerà più macchinoso e meno rapido del previsto.
I carteggi tra Rettore e Patrono danno conto, di mese in mese, del primitivo e molto pragmatico formularsi del progetto nelle intenzioni dei committenti e della successiva attesa di risposta dai tecnici (le ditte interpellate per i preventivi, la ditta Koerting affidataria dell’impresa), che da fiduciosa si fa progressivamente ansiosa e infine nervosa e infastidita per i continui ritardi, disguidi e battute d’arresto.
Scrive Rodolfo Maiocchi al Patrono il 21 novembre 1905 (primo anno del suo rettorato appena iniziato):

La luce elettrica funziona benissimo […] Il più importante è che si sia provveduto pei giovani e questi ne sono lietissimi e non mancano tutti i dì di lodare altamente le saggie disposizioni del Patrono, da cui invocano provvedimenti anche per il riscaldamento. Ho già detto loro che il Patrono sta già pensando anche a ciò ed ella può bene immaginare la loro soddisfazione.

Il Conte Emilio Borromeo si attiva subito (26 novembre) e fornisce indicazioni molto pratiche, anche sulle temperature:

Studiamo ora il calorifero: già ne parlai con l’ing. Sacchi perché si informasse quale ditta costruttrice fosse la migliore, a Milano ve ne sono varie, ma se ve ne fossero in Pavia sarebbero preferibili perché già sul posto. Le ditte tedesche sono le migliori per questo genere di lavori. Io credo che i caloriferi ad acqua calda sono da preferirsi, perché l’impianto è più facile. In ogni modo ora è il momento di fare gli studii, senza prendere assoluto impegno si può dare il mandato di studiare il fabbricato, formulare il progetto e fare il preventivo. […] Se nelle camere da letto si ottenessero, sempre, li otto o dieci gradi sarebbero sufficienti, un poco di più nelle sale di studio, ma il camino in queste starebbe bene il conservarlo per avere una fiammata dei giorni di pioggia. […] Ora tutti i grandi alberghi sono riscaldati con questo metodo.

Il 16 gennaio1906 Maiocchi conferma che «già parecchie ditte delle più serie e più attendibili per già fatti impianti hanno assunto fare, senza impegno pel Collegio, uno studio per i preventivi». Presa visione di questi, il Patrono risponde il 19 gennaio, con nuove raccomandazioni di prudenza circa i costi e, conseguentemente, circa le temperature da esigere:

[…] la spesa sarà di certo ingente per l’impianto e poi anche per l’esercizio, la faremo, ma bisogna andar molto guardinghi ora nel conchiudere il contratto, poi nella sorveglianza per il consumo del combustibile. […] Il fissare i gradi di calore che si esigono nelle camere è giustissimo come base di contratto, ed è da quel primo dato, che partono gli studii dell’imprenditore, perciò non esigiamo troppo, i 15 gradi centigradi in tante camere sono troppi. Salvo qualche camera eccezionale io fisserei i gradi 12 centigradi e non oltre. Escluderei i locali della chiesa da qualunque riscaldo. Essa non è frequentata che una mezz’ora nei giorni festivi e vi si può accedere ben coperti col paletot. Escluderei così le camere e saloni del Patrono, giacché questi, anche i futuri, avranno sempre il riguardo d’addire al Collegio nella stagione buona e non in pieno inverno. Con quel sistema lì, di riscaldamento, si ha sempre la possibilità, se sarà del caso, di aumentare la temperatura di qualche locale ingrandendo o raddoppiando i radiatore. Ma nel preventivo limitiamoci il più possibile.

Siamo ormai troppo abituati a vivere, studiare, lavorare in locali iper-riscaldati per non rabbrividire, sorridendo, nella lettura di questi valori, ma anche la generazione di uomini di inizio Novecento, ben più temprata della nostra, poteva considerare non solo confortevole ma anche consigliabile qualche grado di calore in più. Maiocchi, il 23 gennaio, con la consueta cortesia, accortezza e cautela, fornisce alcune considerazioni di buon senso circa l’efficienza e appropriatezza (anche igienico-sanitaria) delle misure da adottarsi e prova a suggerire alcuni aggiustamenti, utili persino in chiave “pastorale”:

È giustissimo quanto ella dice sull’inutilità di prendere per base di riscaldamento delle camere i 15 gradi. Convengo appieno che 12 siano a sufficienza ed è appunto quanto io ho fatto notare a chi voleva prendere per base 8 gradi. Otto gradi in una camera dove si deve stare a tavolino per studiare sono insufficienti, epperciò ho detto che nelle stanze degli Alunni si doveva immettere una capacità calorifera dai 10 ai 12 gradi almeno, se non si volevano le ripetizioni degli inconvenienti che dà ora la vita di comunità in ambienti non riscaldati.
Quanto alla chiesa se ella crede che non debba essere compresa nel sistema di riscaldamento, io sono prontissimo ad obbedirla. Desiderava, però, non che fosse riscaldata a 15 gradi, ma che si immettesse in essa anche un piccolo radiatore, il quale servisse a togliere la sgradevole impressione del freddo alla temperatura normale del di fuori. Anche se il riscaldamento fosse solo cinque gradi positivi, sarebbe una gran bella cosa, per quanto sia modesta; ma otterrei così di dare un ambiente non sgradevole ai giovani, che avrebbero una causa di meno dal mostrarsi difficili a venire nella casa di Dio. È vero che essi possono coprirsi col soprabito, ma finora ciò non fu fatto, almeno dalla maggior parte, perché è un po’ incomodo per loro e d’altronde se si potessero accontentare anche in questo, io ciò riterrei graziosissimo favore del Patrono.

Le cose, tuttavia, vanno per le lunghe e ancora il 19 marzo Maiocchi scrive che dovrà sollecitare le ditte interpellate per l’invio dei preventivi. Finalmente, il 21 luglio viene scaricato in Collegio tutto il materiale «mandato per nave» dalla ditta Koerting – «sono circondato da una squadra di muratori e da un monteur della suddetta ditta che attendono all’impianto dei caloriferi» -, sono inoltre già stati stipulati con il Comune di Pavia «patti eccellenti» per il carbone e si provvederà anche per l’antracite; nel mese di agosto proseguono i lavori di impianto delle caldaie nei sotterranei del palazzo – la centrale termica corrispondeva all’attuale spazio della biblioteca, nell’ampio seminterrato del lato ovest – e la «diramazione delle condutture si estende al piano terreno e al superiore». Si coglie un certo entusiasmo nelle parole del Rettore al Patrono, intenzionato ad aumentare il numero degli Alunni accolti in Collegio (25 agosto 1906):

Il capo operaio accerta che per la metà di settembre l’impianto sarà compiuto […] Mi congratulo altamente della sua buona disposizione ad accrescere il numero dei beneficati. Posso assicurarla che 32 camere riscaldate si avanzano anche quest’anno e quindi nulla impedisce alla di lei generosità di tradurre in atto il suo desiderio.

I primi intoppi affiorano, tuttavia, con l’affacciarsi della stagione più fredda nel novembre 1906: all’accensione del nuovo impianto vi sono perdite d’acqua da una caldaia e malfunzionamenti vari – «dei caloriferi non sono ancora contento» – e i solleciti alla ditta appaltatrice perché provveda alle riparazioni si susseguono inascoltati «in questa stagione che si fa rigida un dì più che l’altro»; il 16 gennaio1907 c’è spazio per una punta di esasperazione:

Siamo però ancora un po’ sottosopra con questi benedetti caloriferi che non funzionano bene, ed ai quali si attende dì per dì un po’ da tutti, dall’ingegnere, da me, dall’ing. Secondi e dalla ditta Koerting che oggi stesso ha dovuto mandare in Collegio un monteur. Sembra che oggi si sia trovato la causa del non funzionamento e domattina si provvederà subito. Vedremo.

Alla fine le cose paiono assestarsi, ma senza l’auspicata adamantina efficienza se ancora nell’aprile1908 Maiocchi dichiara: «il Koerting non ha ancora fatto nulla dei lavori che l’ing. Secondi aveva imposto per le necessarie migliorie dei termosifoni. Ad ogni modo non pago nulla, se prima non ho il benestare del Conte Patrono per tale pagamento.»

Ma i “benedetti caloriferi” saranno fondamentali di lì a pochi anni, quando la trasformazione dell’intero Collegio in Ospedale Militaredurante la Prima Guerra Mondiale comporterà un potenziamento dell’impianto, con alcune non trascurabili conseguenze sul piano gestionale e persino su quello della conservazione dei beni artistici.
Da un lato, si assiste alla difesa da parte del Rettore (lettera di Maiocchi del novembre 1915) dell’autonomia del Borromeo rispetto alle ingerenze dell’Autorità Militare, per effettuare l’ordinaria manutenzione dell’impianto di riscaldamento (almeno per due delle cinque caldaie) con il normale personale e a spese del Collegio, contro l’ordine di affidare completamente ai soldati il “servizio dei caloriferi”.

Dall’altro, nel luglio 1918, si registra la preoccupazione di un’altra autorità esterna, la Soprintendenza ai monumenti di Lombardia, per lo stato di salute degli affreschi nel Salone adibito a corsia d’ospedale e, perciò, fornito di un numero supplementare di caloriferi (come si può riscontrare nelle fotografie dell’epoca). Il Rettore prospetta alla Direzione dell’Ospedale Militare i danni denunciati dalla Soprintendenza, «reali e gravi e tali che esigono un pronto provvedimento», ossia l’esclusione del locale dall’uso ospedaliero almeno per i quattro mesi invernali, in modo da non dovervi accendere i termosifoni. La risposta è celere e collaborativa:

Questa Direzione, preso atto dei rilievi fatti dalla Sopraintendenza ai monumenti di Lombardia, circa i danni che possono essere causati alle decorazioni e pitture del Salone del piano superiore del Collegio Borromeo coll’uso dei caloriferi nella stagione invernale, e riconosciuto più che giustificato tale rilievo, è venuta nella determinazione di escludere il Salone in parola dall’essere adoperato come sala ricoverati nella stagione invernale. Qualora però esigenze straordinarie non consentissero allo sgombero del locale stesso, in detta stagione, per cura di questa Direzione, verranno prese tutte le misure necessarie affinché i caloriferi, esistenti nel Salone medesimo, rimangano spenti.

Non è ben chiaro se con ciò si pensasse di sacrificare al benessere degli affreschi quello dei degenti. Il freddo parrebbe prendersi una rivincita.

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